lunedì 9 maggio 2011

Davvero poteva andare peggio?


di Maurizio Bisozzi

Maggio, mese di fioritura per alberi da frutto e per elezioni. Per i primi ci sarà da aspettare l'estate, i frutti delle seconde li raccoglieremo nelle prossime settimane: si voterà per rinnovare molti consigli comunali e quello di Federfarma. Tralasciando i primi, diamo un'occhiata al nostro orticello, voltando rispettosamente le spalle alla dirigenza del sindacato e puntando le telecamere verso il pubblico. Lasciamo quindi i confronti e le accuse reciproche, battibecchi e recriminazioni e diamo un'occhiata in platea.  Mentre sul palcoscenico gli attori si contendono il ruolo di primadonna e discutono su chi è la più bella del reame, cosa fa il pubblico in sala?
Per interpretare l'atteggiamento tenuto dalla base del sindacato credo sia utile rispolverare la vecchi a teoria di Samuel Taylor Coleridge. Il grande poeta inglese elaborò il concetto di “sospensione dell'incredulità” per spiegare il particolare stato del lettore – o dello spettatore nel nostro caso – volto ad impedire l'utilizzo delle proprie facoltà critiche nei confronti di un'opera. Questo limbo del raziocinio consente al fruitore finale (utilizzatore mi sembra di discutibile quanto abusato gusto) di godere appieno del lavoro di fantasia dell'autore, tralasciando le inconsistenze secondarie che renderebbero impossibile il godimento di una poesia o di una pièce teatrale.
Inutile elencare i grandi che hanno goduto di questa particolare trance intellettiva dello spettatore, da Shakespeare a Beckett, fino ai più freschi Cerami o Benni. L'autore spalanca le ali dell'immaginazione e invita il pubblico a seguirlo, abbandonando le peculiarità critiche proprie del razionale e trasportandolo in spettacolari voli mozzafiato della mente.
Bene, l'impressione che si riceve da parte della platea dei farmacisti è che l'ultimo decennio in particolare sia stato vissuto sotto l'ipnosi di questa magia dell'arte. Il pubblico è rimasto per anni soggiogato, preda della fascinazione esibita dagli attori sul proscenio, dalla loro abilità oratoria, dall'affabulazione nel consolarli e incoraggiarli che “sarebbe potuto andare peggio”.
Già, il peggio. E’ stato lui il filo conduttore di una serie di tragedie messe in scena nel teatro di via Emanuele Filiberto, in questo decennio che ha visto la professione del farmacista prima cadere preda delle avide tentazioni del mercato e quindi, una volta spalancate dall'interno le Porte Scee, vedersi imporre le dure leggi dei vincitori.
Da sempre si discetta sull'ambivalenza della figura del farmacista, l'unico professionista la cui anima e ragione di esistere siano impossibile disgiungere da quella del commerciante.
Finchè si è potuto camminare sul delicato filo che univa i due corni del dilemma, mediante la rivendicazione e l'esaltazione delle competenze professionali specifiche del nostro corso di studi, l'equilibrio è stato mantenuto. Il punto di crisi e di rottura è arrivato alla prima spallata inferta da chi aveva interesse alla trasformazione di ruolo dell'istituto della farmacia.
La pratica degli sconti, l'esibizione delle offerte commerciali su Otc e Sop, il mancato rispetto di turni e orari, la banalizzazione del bene-farmaco ci ha riempito per un po' le tasche, mentre ci svuotava di valore le aziende e di futuro la professione. Quello che da allora è seguito nasce da quella che possiamo definire la madre di tutte le castronerie.
La colpa – o il merito, dipende dall'angolazione da cui si guarda – degli attori è stato quello di non creare l'allarme necessario tra le fila dei difensori della farmacia. Perfino le oche del Campidoglio all'epoca svolsero con più attenzione il loro lavoro.
La colpa – e qui di meriti non ne riconosco – del pubblico è stata quella di cadere nelle
rassicurazioni, se non nell'esaltazione delle grandi vittorie sindacali riportate, negli inviti alla calma che ancora oggi ci arrivano dal palcoscenico.
La realtà che oggi abbiamo davanti è quella di meri commercianti,  con tutto il rispetto per un'attività dignitosa ma non professionale, con la conseguente rottura della bipolarità cui facevo cenno prima, con l'inevitabile imposizione di aggiungere la beffa dei servizi offerti al cittadino al danno subito con la espropriazione in termini quali-quantitativi del nostro core business, il farmaco etico.
Una lettura ecclesiale, e per nulla lusinghiera, suggerisce che Nostro Signore cacciò i mercanti che si erano intrufolati nel Tempio, nel nostro caso l'operazione sarebbe stata impossibile, essendo i mercanti i proprietari stessi del tempio-farmacia.
Suddivise equamente le responsabilità, resta solo di risvegliarsi dalla sospensione dell'incredulità che ci ha attanagliati per anni e pretendere dagli attori in scena una rappresentazione più credibile e attinente alla realtà delle cose. Qualora si provvedesse all'avvicendamento degli attori, mantenendo inalterato il copione, non resterebbe che alzarci e cambiare teatro.
Il Muro di Berlino cadde per l’iniziativa dei popoli dell’Est europeo che, si disse all’epoca, non potendo votare con le mani, “votarono con i piedi”. Abbandonarono cioè semplicemente i Paesi di origine e in vario modo fuggirono in Occidente. Forse per una categoria che ha spesso votato con i piedi, potrebbe significare il primo utilizzo intelligente degli arti in questione?


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2 commenti:

  1. Panem et circenses. Ecco cosa e chi ci ha portato a questo punto. Per non parlare poi dei capponi di manzoniana memoria, legati per le zampe a beccarsi l'un con l'altro, ignorando il loro comune destino. Credo che ciascuno di noi, proporzionalmente alla propria inettitudine, causa ed artefice del proprio destino. Dapprima comportandosi nella maniera appena sopra descritta, obnubilato non solo dalle sirene di un "ventennio" che definire anacronistico sarebbe un insulto ma che una abile, quanto occulta, regia andava man mano preparando dimostrando di possedere una attitudine pianificatoria e strategica, in negativo si intende, fuori dal comune. Mi viene da pensare che a tali pensieri la risposta più comune dei suindicati attori possa essere: "ma guardate che anche noi abbiamo una Farmacia e che anche noi ci stiamo lasciando le penne esattamente come tutti."
    E certo, anche io, dopo decenni di incarichi multimilionari, pappaecciciate con i vari ministri/assessori/commissari susseguitisi nel tempo e, di conseguenza, con puff stipati all'inverosimile di lingottini d'oro (ricordate ?) probabilmente non saprei più cosa farmene di una Farmacia.
    Lo strano è che amcora non mollano la presa, pardonnez moi, la poltrona, sebbene ormai da anni attaccati da tutti i fronti. Un fortino inespugnabile, politicamente si intende.
    Il che mi fa pensare.....
    C'è ancora ciccia attorno all'osso ???

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