domenica 10 luglio 2011

Il  vero scandalo
di Maurizio Bisozzi

Le prime pagine di quotidiani e periodici hanno accantonato nobili nozze  e pancioni da grosseuse transalpina: è il momento degli scandali. Bisignani, P4, Milanese, un tourbillon di nomi e sigle accomunati dallo stesso stuporoso termine: scandalo!
Lasciamo la magistratura al suo lavoro e svisceriamo l'etimo della parola: inciampo, impedimento, intoppo. Per il dizionario della lingua italiana si tratta di: turbamento della coscienza collettiva provocato da una vicenda, da un atteggiamento o da un discorso che offende i principi morali correnti; la reazione di riprovazione e di sdegno, lo scalpore suscitato nell'opinione pubblica
Come noterete, si tratta di due interpretazioni dello stesso fatto: la prima focalizza l'interruzione dell'azione, la seconda ne illustra la reazione in chi viene a conoscenza dell'azione.
Senza tirare fuori uova e galline, ma quando nasce lo scandalo? Nel momento in cui il reato si compie o quando se ne viene a conoscenza? Un comportamento è scandaloso solo dopo che viene portato alla luce? E se tale eventualità non si dovesse mai compiere, il gesto sarebbe invece degno di approvazione?
Vantiamo tra i nostri rappresentanti parlamentari un dieci per cento di condannati per reati che spaziano con disinvoltura dal Penale al Civile, più una fetta consistente salvata solo dalla negazione, da parte della Giunta ad hoc, dell'autorizzazione a procedere. All'estero hanno ribattezzato la Camera dei Deputati in camera degli imputati e si fanno beffe del nostro Senato sostenendo che l'Italia ha risolto il sovraffollamento delle carceri  aprendo una succursale a Palazzo Madama. Ma questo per noi non è scandalo, è solo opportunità politica.
Nomine guidate, appalti taroccati, telefonate in entrata e uscita dalle segreterie dei partiti, pizzini, cene d'affari e pranzi di malaffare, portaborse e faccendieri sono scandalosi per il solo fatto di esistere. Della loro esistenza ne siamo tutti, dico tutti  a conoscenza, e non per malizia personale, ma per pubblica denuncia. Nella classifica dei Paesi più corrotti, vantiamo un onorevole (senza allusioni, s'intende!) 67esimo posto, tra il Ruanda e la Georgia. E allora il vero, autentico, quotidiano scandalo è l'accettazione da parte nostra di uno stato di fatto che ci posiziona lontanissimo dall'area europea alla quale dovremmo fare riferimento, relegandoci oltre il Terzo Mondo della onestà pubblica.
Scandalosa è la nostra rassegnazione davanti ad un sistema corrotto e mafioso con il quale ci sporchiamo le mani tutti i giorni, non l'arresto del faccendiere di turno.
Nel nostro mondo professionale è storica la carenza di sedi farmaceutiche territoriali, nella sola Capitale ci sono 160.000 cittadini privi di servizio farmaceutico, tradotto in soldoni ben quaranta farmacie mancanti all'appello. Questo in ossequio al paradosso statistico del pollo mangiato da uno che risulta diviso a metà con un altro, delle sedi del centro storico che fanno media con sterminate e popolose periferie provviste di una, al massimo due farmacie “fortunate”.
Poi sobbalziamo e gridiamo allo scandalo quando vengono selvaggiamente aperte parafarmacie secondo i dettami della legge Bersani, ma è scandalosa la norma che blocca l'apertura di farmacie vere o quella che tanto clamore e indignazione semina tra i colleghi?
Vogliamo parlare dei concorsi poco indetti e mai espletati nel Centro-sud di Italia e di quante parafarmacie siano state aperte in queste zone dagli stessi titolari, già così deliziosamente baciati dalla sorte nel servire bacini di decine di migliaia di utenti?
Continuiamo ad additare il portaborse o il grand commis che ha l'unico torto, ai nostri occhi, di essersi fatto beccare con il topo in bocca: l'ipocrisia, in questo Paese, non fa mica scandalo.

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